Disattivare la fibrosi

Identificati diversi interruttori genetici che determinano la produzione di collagene nelle cellule del fegato, un possibile obiettivo terapeutico per la fibrosi epatica.

di Lisa Ovi

In uno studio pubblicato da Gastroenterology, ricercatori della University of California di San Diego hanno dimostrato per la prima volta che la progressione della fibrosi epatica potrebbe essere gestita manipolando le cosiddette cellule stellate epatiche, o HSC.

La fibrosi è il processo tramite il quale organi e tessuti sostituiscono cellule parenchimali troppo danneggiate per rigenerarsi con cellule connettivali. In alcuni casi, la formazione anomala di ingenti quantità di tessuto connettivo-fibroso altera l’architettura e, conseguentemente, anche la funzione dell’organo o del tessuto che colpiscono. È ciò che avviene, per esempio, nel caso della fibrosi cistica e della fibrosi epatica. Comprendere i processi della fibrosi è fondamentale allo sviluppo di terapie efficaci.

In condizioni normali, le cellule stellate epatiche, o cellule di Ito, immagazzinano vitamina A e supportano la normale funzionalità epatica. In caso di malattia epatica, però, le cellule si attivano trasformandosi in miofibroblasti e iniziando a produrre collagene, un segno distintivo della fibrosi.

In test condotti sia su topi che su tessuti epatici umani, i ricercatori hanno identificato diversi fattori di trascrizione che distinguono le HSC quiescenti da quelle attive. I ricercatori hanno scoperto di poter controllare questo interruttore cellulare attivando o inibendo questi fattori di trascrizione, molecole capaci di attivare o disattivare i geni.

Riducendo i livelli dei fattori di trascrizione associati alle HSC quiescenti, i ricercatori hanno osservato le cellule attivarsi e aumentare la produzione di collagene, promuovendo così la fibrosi. I topi portatori di questi fattori di trascrizione presentavano le forme di fibrosi più gravi. I ricercatori hanno anche testato l’approccio inverso, stimolando uno di questi fattori di trascrizione, il PPARγ, con una sostanza chimica chiamata rosiglitazone. Nei topi trattati con rosiglitazone, la fibrosi epatica ha cominciato a regredire.

La ricerca proseguirà esplorando il ruolo di altri fattori di trascrizione coinvolti nel mantenere le HSC quiescenti, alla ricerca di nuovi attivatori e inibitori. Saranno studiati da vicino anche i geni coinvolti per valutare la possibilità di trattarli direttamente.

Immagine: Fibrosi nel fegato di un ratto. Durgesh1104, Wikimedia Commons.

(lo)

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