Seguici
Iscriviti alla nostra newsletter

    Digitale: tra realtà e rappresentazione sociale

    di MARIO MORCELLINI

    Digitale ed analogico: due termini provenienti dalla stessa matrice tecnologica e culturale, entrati perfettamente a far parte integrante del dibattito pubblico soprattutto in un contesto in cui gli scenari legislativi di casa nostra prevedono ottimisticamente il predominio dell’uno sull’altro.

    Il fiorire dei dibattiti sul tema del digitale spinge lo studioso di comunicazione e di sistemi sociali a un atteggiamento cauto nella valutazione dell’improvviso interesse che tale argomento è riuscito a suscitare. Si ragiona intorno al digitale come fenomeno che stressa le mode, sul digitale come stimolo ma anche sul digitale come risposta alle logiche di un mercato dinamicamente in movimento.

    Emerge certamente, entro questa tendenza evolutiva per qualche verso ineludibile, la necessità di un’interpretazione critica dell’enfasi sul digitale, considerando però anche quelle dimensioni che gli sguardi più ottimistici intravedono nel potere di accelerazione che la nuova tecnologia possiede, nella valorizzazione cioè della capacità di innovazione e, non per ultimo, nella costruzione di un nuovo habitus culturale e tecnologico della società italiana.

    Questioni di contesto

    Una prima congiuntura favorevole all’affermazione del digitale è leggibile tra le righe dell’inedita affermazione della fruizione culturale più personalizzata a partire dall’ultimo decennio. Si registra quindi un lampante passaggio dalla ritualità della fruizione televisiva tradizionale che induce un atteggiamento di inerzia e di avvitamento su un unico mezzo di comunicazione, verso una più veloce accettazione dell’innovazione tecnologica, dovuta essenzialmente all’ampliamento del palinsesto delle tecnologie.

    è così che, nell’ultimo decennio, il rapporto biunivoco e fiduciario senza precedenti tra la televisione, la società italiana e il sistema di attese del pubblico inizia a dare segnali di indebolimento, lasciando spazio a una serie di rivoluzioni della comunicazione – come abbiamo scelto di chiamare i cambiamenti profondi che investono il tessuto socio-culturale italiano – inerenti allo spettro delle tecnologie comunicative e chiaro risultato di una presa di coscienza dell’essere attori delle proprie scelte.

    A questi fenomeni che investono la fruizione si accompagna, anzitutto, una rilevante riduzione della fedeltà nei confronti dei media tradizionali con una tendenziale diversificazione della dieta mediale, ma anche un atteggiamento esplorativo delle potenzialità delle tecnologie, generando, di conseguenza, un’evidente riduzione delle aree sociali di passività.

    In tale contesto di progressivo venir meno degli old media, percepiti spesso come «pubblici», garanti della partecipazione e dell’esperienza collettiva, emerge un secondo nodo interpretativo: il problema della presenza più o meno forte dell’esaurimento dell’intermediazione, con la consequenziale riduzione dei rituali di passaggio dalle vecchie modalità di fruizione alle nuove situazioni fortemente personalizzate di possesso, accesso e consumo individuale.

    Un ruolo interessante in questo processo di mediazione culturale e tecnologica è giocato dal mezzo di comunicazione più sintomatico per l’evoluzione del contesto italiano: il cellulare. Riassumendo in un unico oggetto il bisogno di comunicazione interpersonale (la funzione tradizionale della telefonia mobile), la scrittura (con gli SMS) e, ultimamente, l’immagine, il cellulare diventa il mezzo di comunicazione di facile impiego che fa da «maestro» sia per l’apprendimento dell’uso che per il superamento del timore nei confronti delle nuove tecnologie. E tutto va al di là della pur pressante evidenza della sguaiata deriva antropologica che il trionfalismo del cellulare esibisce. Il consumo culturale tradizionalmente legato ai mezzi di comunicazione classici come la televisione, il giornale, la radio, inizia a spostarsi sui cosiddetti mezzi mobili, più flessibili e meno vincolanti per il soggetto.

    I giovani: drivers del cambiamento

    Il digitale si prefigura, infatti, come linguaggio più sofisticato e moderno, capace di soddisfare la complessità di interessi e di forme espressive che i soggetti moderni richiedono.

    In questo contesto, i giovani rappresentano i principali drivers del cambiamento, in grado di giocare un ruolo decisivo nell’esplorazione, nella definizione e nell’ampliamento dei consumi del tempo libero dentro e fuori i media.

    Aiutato dalla propulsione interna delle nuove generazioni, il digitale costruisce addirittura nuove forme di relazionalità e di razionalità umana, fondate soprattutto sull’integrazione tra i linguaggi. Si prospetta quindi uno scenario dominato da un modo diverso di vivere il cambiamento: non più come successione di eventi che investono il soggetto sottomettendolo, ma come presa di possesso individuale, basata su incessanti negoziati sociali e tecnologici.

    Non siamo in realtà di fronte all’invenzione di una strategia comunicativa radicalmente nuova, ma alla possibilità di recuperare linguaggi e formati già collettivamente condivisi sul piano sociale e culturale e di renderli disponibili in formule e fruizioni diverse.

    Il digitale tra «nuovismo» e cambiamento reale

    Ecco perché il «nuovismo» del digitale va letto rinunciando ai toni retorici e alla contrapposizione permanente con l’analogico (come la maggior parte delle definizioni di questo fenomeno/linguaggio tendono fare).

    La chiave interpretativa deve essere la gestione del mutamento sociale attraverso l’alfabetizzazione digitale. Quasi come una concreta e inedita politica di welfare socio-culturale, capace di superare le posizioni estreme – l’entusiasmo e la celebrazione della tecnologia, da un lato, così come il timore e la preoccupazione, dall’altro – interpretando l’innovazione tecnologica come un’opportunità di crescita della persona, simile all’acquisizione delle capacità basilari di leggere e scrivere. Si tratta di una lettura che, oltre l’accezione basilare e strumentale, può assumere una dimensione funzionale, come, del resto, qualsiasi pratica attiva e differenziata della cultura, capace di aiutare le persone ad affrontare la complessa varietà di situazioni comunicative tipiche della nostra società.

    Si apre quindi una stagione di riflessione in grado di identificare la forza dell’enfasi sul digitale con la fiducia in alcuni elementi caratterizzanti tale tecnologia e le consequenziali varabili di linguaggio. Una sorta di decalogo che delinea ottimisticamente le principali prerogative della tecnologia digitale:

    – induce cambiamento trasversale e innovazione in tutte le tecnologie comunicative

    – non implica il rischio di regressione (solo sporadiche crisi di crescita e qualche difficoltà di posizionamento sociale)

    – facilita la convergenza e l’integrazione di territori del sapere e luoghi di espressione diversi

    – velocizza il cambiamento sociale generando sostituzioni con ritmi e profondità senza riscontri nel passato (accelerazione)

    – induce una velocizzazione dei processi della conoscenza: una maggiore capacità di prevedere gli eventi e di controllare cognitivamente l’ambiente

    – genera innovazione di prodotto e di consumo

    – non è (al momento) strettamente dipendente dalla formazione, anche se implica nuove modalità di alfabetizzazione, e, esaltando il valore dei contenuti, ne rivendica alla lunga il valore

    – provoca un sovvertimento delle posizioni di status, con la necessità di ibridazione di tutte le figure professionali (vedi, per esempio, il cambiamento della professione giornalistica)

    – innesca un percorso più immediato per la catena del valore del digital market, garantendo possibilità più immediate di convalidazione dei singoli prodotti (azione – misurazione – innovazione – mercato)

    – assicura un’ampia apertura socio-culturale dimostrando nuovamente la sua natura del tutto trasversale (è un concetto che potenzia e favorisce realtà diverse e complesse come: Informazione, Organizzazioni e reti, Beni di consumo, Tempo libero, E-commerce, Musica, Editoria, Affari personali, Intrattenimento, Beni di cittadinanza, Formazione, Salute, E-government, Servizi amministrativi eccetera).

    La TV che verrà

    Questo trend all’accettazione e alla sperimentazione va a incidere, inevitabilmente, sulla radicalizzazione del nesso tra l’esplorazione delle tecnologie e la successiva implementazione dei contenuti. Ed è proprio sul mercato dei contenuti che verrà giocata quasi interamente la sfida della TV digitale terrestre in Italia.

    Ancor prima del suo assestamento, il nuovo modello industriale di televisione in Italia appare soggetto a una nuova riconfigurazione, dettata dall’introduzione della DTT (anticipata nel mercato italiano dalla TV satellitare) e dall’allargamento dei consumi on line.

    Il quadro complessivo europeo esprimeva, già nel 2000, una ricchezza d’offerta senza precedenti, valutata complessivamente in più di mille canali, distinti in trentatre generi: un effetto, quest’ultimo, della specializzazione e della spinta verso i canali tematici, spesso affermati come proposta contenutistica di nicchia. Sono soltanto alcune delle tendenze in atto legate prevalentemente alle nuove opportunità di intervento sui contenuti televisivi; la trasformazione e l’adattamento degli stessi alle nuove esigenze della fruizione aprono la prospettiva per i nuovi entrati di convivere se non di sottrarre quote di audience alle televisioni generaliste. Si tratta della stessa spinta che, a nostro avviso, mobiliterà anche il mercato della televisione in chiaro, nell’ottica di incrementare l’offerta attraverso la televisione digitale terrestre e la creazione di canali tematici da offrire a prezzi molto bassi al proprio pubblico.

    In un simile contesto di offerta e soprattutto di fruizione, la televisione – sia essa commerciale che pubblica, analogica o digitale – sarà difficilmente soggetta a trasformazioni sostanziali.

    La tecnologia digitale, sperimentata inizialmente attraverso i satelliti e il cavo, ha permesso – e permetterà ancor di più con l’avvio del digitale terrestre – la diffusione di moltissimi canali. Ma non è detto che la moltiplicazione di questi ultimi si rifletta nel panorama del consumo dei media come una grande rivoluzione rispetto alle forme e alle abitudini di fruizione precedentemente affermate. Infatti, il modello di sviluppo previsto è quello del simulcast, cioè l’integrazione attraverso l’ibridazione dei due modelli all’interno di un’unica offerta, TV generalista e canali tematici, arricchiti da semplici applicazioni interattive.

    Se gestito con consapevolezza e considerazione per la qualità e per i pubblici, tale modello di televisione potrebbe costituirsi in una vera sponda per la democratizzazione dell’accesso, permettendo la convivenza e l’integrazione tra vari contenuti, linguaggi e formati.

    Sostenendo con una certa convinzione la sopravvivenza contemporanea del digitale insieme all’analogico, l’interrogativo sociale più acuto che si apre riguarda soprattutto il cambiamento della società italiana. Come saranno, quindi, i comportamenti, le case, il lavoro degli italiani nella nuova età dei linguaggi? E ancora: come saranno gli italiani fuori dalle case e dal lavoro?

    Mario Morcellini è direttore del Dipartimento di Sociologia e Comunicazione dell’Università di Roma «La Sapienza».

    Related Posts
    Total
    0
    Share