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Sigilli elettronici e sistemi di rilevamento aumentano
la sicurezza dei container

di Amitabh Avasthi

I container da carico – quegli onnipresenti box grandi come un vagone che trasportano merci in tutto il mondo – potrebbero diventare l’estrema risorsa dei malintenzionati. Ogni anno più di 48 milioni di container completamente carichi si spostano tra i diversi porti mondiali. Ma, dei sei milioni che arrivano negli Stati Uniti, solo il 5 per cento del loro contenuto viene ispezionato visivamente o passato ai raggi-x, lasciando la possibilità teorica di usarli per trafficare con il materiale nucleare, gli esplosivi o perfino i terroristi stessi. Molti porti mondiali hanno dichiarato la volontà di collaborare a un progetto statunitense per ispezionare manualmente i container considerati ad alto rischio; ma contemporaneamente si stanno mettendo a punto una serie di tecnologie per fare fronte a questa falla della sicurezza.

è un’impresa non semplice che prende il via con piccoli sigilli elettronici. L’estate scorsa, Savi Technology di Sunnyvale, in California, e 65 aziende tecnologiche e soci dell’industria cantieristica hanno portato a termine il primo esperimento di un nuovo tipo di sigilli elettronici che seguono il percorso dei container e rilevano le intrusioni. Fissato al chiavistello principale del container, il sigillo svolge due funzioni. In primo luogo, serve come etichetta d’identificazione a radiofrequenza, consentendo di registrare automaticamente i movimenti del container quando passa sotto i lettori d’etichette delle gru di caricamento e degli accessi del porto o degli impianti di distribuzione. Si tratta di una tecnologia già d’uso comune nei container militari ed è stata impiegata recentemente durante la guerra in Irak.

Ma i nuovi sigilli si spingono ancora più avanti, rilevando le intromissioni. L’apertura del container rompe un campo magnetico che circonda il sigillo; questo evento e il momento in cui avviene vengono registrati nella memoria del chip. La volta successiva che il container manomesso passa sotto un lettore di etichette, viene innescato automaticamente un allarme che segnala l’intrusione, avvisando che il container deve essere ispezionato.

La sperimentazione ha avuto un tale successo che diverse migliaia di sigilli sono già stati consegnati ai vari enti governativi e ai maggiori spedizionieri marittimi. Secondo Lani Fritts, vicepresidente dello sviluppo commerciale di Savi, lo stesso consorzio di 65 aziende ha ora intrapreso una seconda sperimentazione globale sul campo che coinvolgerà complessivamente 5.000 container dotati di sigilli elettronici. Inoltre, l’infrastruttura messa in piedi dal consorzio comunicherà automaticamente con enti governativi come l’US Customs and Border Protection.

In questo nuovo lotto alcuni dei container sono stati equipaggiati per comunicare in modo ininterrotto; Savi sta collaborando con Qualcomm, di San Diego, in California, per collegare i sigilli con transponder in grado di trasmettere via satellite i sistemi di monitoraggio, mandando allarmi in tempo reale dovunque sia il container, in mare aperto, nel porto, o su un camion o un treno. Poiché la comunicazione continua in tempo reale è molto più costosa – quanto di più non è ancora chiaro – le sperimentazioni iniziali coinvolgono cargo ad alto rischio come materiali pericolosi o carichi di alto valore come quelli farmaceutici.

Il prossimo obiettivo dell’industria dei cargo è più ambizioso: introdurre il primo «container intelligente» al mondo, con sensori multipli incorporati. Savi sta collaborando con CIMC, a Shenzen, in Cina, il maggior produttore mondiale di container da carico, per progettare e sviluppare i primi prototipi entro la fine di quest’anno. Se tutto andrà bene, i container della prossima generazione potranno essere distribuiti commercialmente il prossimo anno. Un container intelligente a funzioni multiple farà molto di più che rilevare se il sigillo principale è stato manomesso. Per esempio, se un intruso prova a tagliare o a perforare le parti laterali, sensori interni di luce e movimento possono comunicare con il sigillo, il quale a sua volta può trasmettere uno stato d’allerta o via Internet o accendendo una luce o facendo partire un allarme sonoro. In futuro, nuovi sensori potrebbero rilevare la presenza di sostanze chimiche, radiazioni e i residui di esplosivi. Un simile container avrebbe «una capacità di lanciare un SOS per denunciare una situazione insostenibile e di riferire la sua identità, la posizione e la condizione», dice Michael Wolfe, direttore del North River Consulting Group, di North Marshfield, in Massachusetts, che è consulente del governo e dell’industria per le tecnologie per la sicurezza. Ma anche i container più intelligenti hanno bisogno di ispezioni: un ispettore che sa che un container è stato manomesso deve scoprire cosa è stato piazzato all’interno. Le tecnologie attuali sono purtroppo inadeguate per riuscire a scoprire la minaccia più subdola: una bomba nucleare o una «bomba sporca» radioattiva.

Una soluzione possibile: un rilevatore di raggi gamma con una componente supplementare per la formazione di immagini che svela la struttura dei materiali che emettono radiazioni. è esattamente ciò che il gruppo guidato da Richard Lanza, un ingegnere nucleare del MIT, ha realizzato con un prototipo. Si tratta di una serie di piccoli rilevatori che raccolgono raggi gamma e producono uno spettro dettagliato di energia che viene elaborato in una pallida immagine dell’oggetto che emette radiazioni. In questo modo gli ispettori possono identificare i materiali innocenti che emettono piccole quantità di radiazioni – come alcune forniture mediche od oggetti di granito – senza perdere tempo in ispezioni manuali. Prototipi dei rilevatori sono ora in via di sperimentazione al Lawrence Livermore National Laboratory, a Livermore, in California.

L’eventuale produzione dipenderà dai risultati di questi test, ma l’apparecchio del MIT fa parte di un progetto ambizioso per la futura scoperta di esplosivi nucleari, sostiene Richard Wagner, un fisico del Los Alamos National Laboratory che sta collaborando alla valutazione di nuove tecnologie di monitoraggio per il governo federale. «Il nostro obiettivo finale è il dispiegamento di centinaia di migliaia di rilevatori», dovunque, dai porti alle autostrade, egli dice. Un simile programma potrebbe costare 10 miliardi di dollari; ma il prezzo da pagare per scoprire la presenza di una bomba nucleare è in ogni caso inferiore al costo, umano e non, del lasciarla passare.