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    Consumerismo in cerca d’autore

    Stili di rappresentazione del consumerismo nella stampa italiana

    di Mario Morcellini

    Attori collettivi in grado di modificare i comportamenti dei cittadini e il loro rapporto verso le istituzioni e i servizi di pubblica utilità. Soggetti associativi «formalmente» privati che operano nell’interesse pubblico come interpreti dei diritti di cittadinanza ma, soprattutto, come fonti di informazione alternative rispetto al mainstream del generalismo.

    È il fenomeno del consumerismo «all’italiana»: un tema troppo poco studiato rispetto alle effettive potenzialità di mediazione tra pubblico e privato, tra politica e mercato, e un fenomeno invece decisivo per chi voglia prospettare un’analisi della società italiana non ancorata a riferimenti tradizionali e schemi interpretativi ormai esauriti.

    Ma come se la cava questo mondo sotto i riflettori dei media? E, al tempo stesso, come se la cavano i media nell’assumere questo fenomeno così nuovo a lente d’ingrandimento dei cambiamenti socio-culturali in atto?

    Questi alcuni interrogativi a cui ha cercato di rispondere la ricerca Stili della rappresentazione del consumerismo nella stampa italiana, curata dalla Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università «La Sapienza» per Consumer’s Forum e presentato a Roma lo scorso 15 marzo. Lo studio ha preso in esame la copertura della stampa italiana nel secondo semestre 2006, articolandosi in tre distinte fasi di indagine: un’analisi di sfondo sul contenuto dei principali quotidiani nazionali e uno studio lessicale delle titolazioni, che si sono concentrati sulle prime e ultime due settimane del periodo; e, non ultima, la disamina degli stili e delle strategie comunicative ricorrenti negli editoriali pubblicati nel corso degli ultimi sette mesi del semestre.

    A emergere è uno scenario di luci e ombre, rispetto al quale il decreto sulle liberalizzazioni promosso dal ministro dello Sviluppo Economico Pier Luigi Bersani si impone come punto di partenza per l’avvio di una riflessione più ampia sul ruolo dei media nella costruzione dell’opinione pubblica in tema di diritti e interessi dei «cittadini-consumatori».

    La centralità di quest’ultima categoria nell’agenda politico-economica del governo configura, in qualche misura, un «orientamento di promozione» “non esente da accenti di dirigismo ” riconducibile al «marketing di cittadinanza». Per la prima volta, con tanta insistenza, azioni del mondo consumerista diventano oggetto di significativa copertura da parte della stampa, anche se non è il movimento dei consumatori a guadagnare il centro della scena: il richiamo continuo agli «interessi» dei consumatori, innescato da una mirata azione di governo a favore dell’apertura alla concorrenza di alcuni settori di mercato, determina piuttosto una cooptazione dei temi, e dunque del lessico, tipici del consumerismo.

    Anche stavolta, è un evento politico a far emergere il fenomeno del consumo come issue di pubblica rilevanza, imponendosi come prospettiva privilegiata per le interpretazioni della stampa. Siamo di fronte a un limite classico del giornalismo italiano, che non riesce a leggere i fenomeni sociali se entro la chiave dell’interesse politico: in altre parole, l’informazione tende a identificare nella politica il principale spazio pubblico dove intercettare le istanze della società civile. Ed è così che il movimento dei consumatori trova spazio nella stampa italiana quando la consapevolezza di un deficit di rappresentanza.

    Focus sui principali risultati

    A partire da questo scenario, lo studio realizzato dalla Facoltà di Scienze della Comunicazione ha preso in esame 160 articoli, pubblicati sulle sei più diffuse testate nazionali («Corriere della Sera», «La Repubblica», «La Stampa», «Il Messaggero», «Il Giornale», «Il Sole 24 Ore») e sui due principali quotidiani di tendenza («L’Unità» e «Avvenire»).

    L’analisi della copertura giornalistica si è polarizzata su due distinti momenti: l’inizio e la conclusione del «ciclo di attenzione» innescato dall’approvazione del decreto Bersani nella seconda parte del 2006. A tal fine sono stati identificati due diversi periodi campione: il primo a ridosso del dibattito pubblico suscitato dal varo del provvedimento (1-14 luglio); il secondo relativo alla fase di successiva normalizzazione nelle ultime due settimane di dicembre (13-31 dicembre).

    Prevalentemente trattato come manovra in grado di «rivoluzionare» la vita quotidiana degli italiani, repentinamente balzato in prima pagina all’inizio di luglio in seguito all’approvazione, il decreto Bersani ha rappresentato l’evento scatenante del dibattito mediale sul consumo e sul consumerismo. Non a caso, una particolare concentrazione di articoli (ben 114) caratterizza la copertura giornalistica delle prime due settimane di luglio. In particolare, ben 74 articoli fanno segnare fra il 1 e il 7 luglio il picco massimo dell’attenzione della stampa nazionale: uno spazio di trattazione quasi doppio rispetto a quello riservato al tema a distanza di soli sette giorni dall’approvazione del decreto (8-14 luglio), e soprattutto decisamente superiore alla copertura del tema alla fine del semestre (dicembre 2006).

    Rispetto alle generali proporzioni dell’«effetto decreto» sull’informazione pubblica, spetta a «Il Sole 24 Ore» il primato di testata più sensibile alle tematiche legate al consumo e al consumerismo, seguita da «La Repubblica» e dal «Corriere della Sera». Quanto alla visibilità redazionale del tema, la collocazione in prima pagina è nettamente più frequente nei giorni immediatamente a ridosso dell’approvazione del decreto sulle liberalizzazioni, riguardando ben un articolo su cinque. Alla fine del semestre, si assiste di converso a una crescita dell’approfondimento: gli articoli, nelle pagine interne, sono più lunghi e aumentano in modo significativo soprattutto quelli di argomento economico.

    Dalla content analysis emerge una scarsa tematizzazione del consumerismo come movimento collettivo organizzato. Una pluralità di istanze e di attori tendenzialmente rappresentata come priva di forte personalità istituzionale e politica, che la stampa tende spesso a identificare riduttivamente in una impersonale categoria dei «consumatori». Se i «consumatori» emergono come protagonisti del dibattito soprattutto nel mese di luglio, la visibilità delle rappresentanze (le singole sigle e associazioni) si fa tuttavia decisamente maggiore e più variegata nell’arco del semestre. Del resto, la centralità del consumatore è un dato che torna a confermarsi negli stili di titolazione della stampa nazionale, insieme a un’elevata ricorrenza dei principali temi dell’agenda politica (liberalizzazioni; taxi; concorrenza; euro; cittadini, conti bancari, class action eccetera).

    Sul piano qualitativo, l’analisi tematica degli editoriali ha quindi consentito uno zoom sui più importanti interventi comparsi sulla stampa nazionale. L’obiettivo è stato quello di monitorare temi e accenti emergenti in un segmento autorevole del dibattito pubblico, attraverso prese di parola e testimonianze illustri da parte di opinion leaders: «addetti ai lavori» ed esperti ai quali spetta ” secondo un costume caratteristico dei media ” il compito di fornire un ritratto del consumerismo e dei suoi modelli, non rinunciando anche a critiche severe. Ancora una volta, si segnala una singolare concentrazione di interventi e interpretazioni sulla stampa proprio nelle prime due settimane del mese di luglio, in una fitta rete di rimandi reciproci e veri e propri «botta e risposta»: un dato che torna a confermare questo come momento più «caldo» della trattazione e fase di forte discontinuità rispetto alla fissazione dell’agenda pubblica e al definitivo «sdoganamento» del tema dei diritti dei consumatori.

    In secondo luogo, anche dalla lettura approfondita del corpus di editoriali del periodo, emerge un filo rosso che lega la politica del ministro dello Sviluppo Economico Pier Luigi Bersani all’avvio di una riflessione più ampia sugli interessi dei cittadini-consumatori. Questa riflessione si sviluppa lungo due direttrici principali:

    1) L’affermazione della centralità del consumatore. Dopo l’approvazione del decreto Bersani si assiste a una tavola rotonda mediatica in cui è per la prima volta protagonista il consumatore-cittadino, inteso non solo come utente finale, ma soprattutto come giudice della qualità del processo di produzione e di erogazione di beni e servizi. L’importanza di questa figura è accentuata perché si arricchisce di una decisiva valenza politica: il processo di acquisto e fruizione di beni e servizi è visto come il terreno di azione per stressare l’equilibrio di potere fra produttore e consumatori.

    2) La critica alla condotta delle associazioni consumeriste. Soprattutto i titoli degli editoriali più significativi puntano il focus su alcuni tratti negativi della condotta delle associazioni: la flebile reazione degli utenti-consumatori nei giorni successivi al provvedimento Bersani e la riflessione sulla scarsa rappresentatività di soggetti che avrebbero dovuto avere la loro ragion d’essere nella difesa del consumatore.

    Le cause vengono generalmente rintracciate in alcune debolezze strutturali del movimento: la frammentazione, lo scarso ricambio e la perenne competizione, aggravate da un’insufficiente cultura dell’alleanza in vista dell’obiettivo comune. Più in generale, a emergere è sovente un ritratto del movimento consumerista come un coacervo di sigle dedite più all’assistenza dei singoli associati che a un’analisi-intervento di respiro generale.

    Diversamente da altri paesi e, soprattutto, dall’esperienza del mondo anglosassone, un’azione sociale e politica incisiva è ancora carente in Italia, ma ormai necessaria. Tanto più nel momento in cui si deve allo «sdoganamento» del tema, non più riservato a un pubblico di soli addetti ai lavori, l’apertura di una nuova importante partita per il mondo consumerista e i suoi attori: quella della rappresentazione simbolica e, più in generale, della valorizzazione attiva della ricchezza del proprio «capitale sociale» nella società italiana.

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