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    Confronti

    di Alessandro Ovi

    Nessuno si è mai domandato davvero di chi fosse Internet. Era ovvio: Internet era di nessuno e di tutti. La risposta oggi alla stessa domanda non è scontata.

    È reale il timore che compaiano nel mondo della comunicazione orizzontale di Internet i problemi della esclusione e delle barriere tipici dei media tradizionali, legati sostanzialmente alla loro natura verticale, top-down.

    Due le novità: la prima legata a fatti economici e la seconda a problemi di riservatezza e di criminalità.

    Il fatto economico rilevante è che Internet, nato usando reti preesistenti, ha richiesto investimenti incrementali limitati per crescere ed è sempre stato quasi gratuito e accessibile a chiunque avesse un telefono, però solo per la trasmissione di testi, suoni, immagini fisse..

    Le nuove reti a banda larga, che permettono la trasmissione dei video, richiedono invece investimenti enormi che dovranno essere remunerati. In che modo potranno crescere?

    Vi sono politiche diverse nel mondo, dalla Germania che ricostituisce una situazione di monopolio per Deutsche Telekom per un certo numero di anni sulle nuove reti a banda larga, alla Francia che tiene la rete sotto il controllo di un operatore di fatto dello stato, all’Inghilterra che mette in mano pubblica non la proprietà, ma la gestione e il controllo dell’accesso alla rete, fino agli Stati Uniti che agevolano la convergenza tra operatori televisivi e telefonici e la loro concentrazione, per dare un senso economico agli investimenti sulle reti.

    Un elemento comune a tutte c’è: l’utente dovrà pagare. Canone fisso o tariffa per servizio o un misto dei due, comunque dovrà pagare.

    L’unica alternativa è il modello Google dove paga tutto la pubblicità. Google, visto da tanti come il futuro padrone della rete, fa paura. Eppure è proprio lui a fare la battaglia a favore delle reti aperte e contro i sistemi cosiddetti «proprietari», i poteri forti nemici dei sistemi aperti e pluralistici favoriti da Internet.

    Il secondo fatto economico è legato alla necessità di pagare i contenuti e i servizi a chi li ha sviluppati. Napster che faceva pirateria musicale è morto.

    You Tube per i video pone un problema analogo, ma non è detto che faccia la fine di Napster perché a difenderlo c’è proprio Google che si sta ergendo a difensore non solo delle reti aperte, ma anche della gratuità dei contenuti per l’utente finale. C’è chi lo ha definito un «grande fratello buono».

    Oltre ai fatti economici, vi sono i problemi della difesa dalla criminalità in rete ( terrorismo, commercio illecito, insidie ai minori) e di salvaguardia della riservatezza.

    Sulla necessità di intervenire contro la criminalità esiste un consenso allargato

    È un consenso delicato, perchè può portare a pratiche intrusive delle libertà personali. Anche qui Google ha una posizione libertaria e fuori dal coro. Sostiene, almeno in occidente, l’inopportunità di qualunque forma di pulizia preventiva della Rete e propone di mettere nelle mani dei singoli, i genitori per esempio, strumenti software che li mettano in grado di riconoscere le situazioni a rischio e bloccarle. Si tratta della cosiddetta parental guidance, che tuttavia non risolve il caso del bambino, abilissimo in Internet, che ha i genitori che non sanno usare un PC.

    Ancora più delicato è il problema della riservatezza che il mondo digitale ha messo seriamente a rischio. L’intrusione nella sfera privata di chi comunica via e-mail non è difficile. Né è difficile scrutare nei gusti, nelle abitudini delle persone quando navigano in rete, leggono, comprano, cercano informazioni. Nella sfera privata di queste informazioni si infilano i cacciatori di «profili» che hanno bisogno di personalizzare sempre di più i messaggi pubblicitari.

    Si apre la porta a un mercato dove Google potrebbe davvero diventare «grande fratello», ma questa volta cattivo.

    Porre limiti a queste pratiche richiede la creazione di barriere tecnologiche nuove che in qualche modo definiscano i confini a ciò che è permesso.

    Oggi parlare di reti, di connessioni, di accesso, pare più un problema di capitali, di quote di controllo di aziende che non di libertà e cultura.

    Eppure sono proprio la libertà e la cultura i beni di cui preoccuparsi.

    L’Internet gratuito e completamente anarchico che conosciamo non ci sarà più, ma potrà comunque essere ancora abbastanza libero, aperto e pluralista, oltre che economico e sicuro se gestito in un quadro di regole chiare, uguale per tutti, competitivo e, se possibile, sovranazionale.

    Su questi argomenti Silvia Andreoli ha intervistato Fiorello Cortiana. Nato a Milano nel 1955, senatore tra i più giovani in Italia, Cortiana è oggi tra i massimi sostenitori della necessità di una Carta dei diritti della Rete, progetto a cui lavora assiduamente come membro del Comitato sulla governance di Internet del Ministero dell’Innovazione. (a. o.)

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