Computer quantistico?

Un pioniere del calcolo quantistico si chiede se la giovane startup canadese abbia davvero dimostrato di aver realizzato il prototipo di un computer quantistico commerciale.

di Seth Lloyd

I computer elaborano le informazioni frantumandole in unità indivisibili chiamati bit. Un bit rappresenta la separazione tra due possibilità: il vero e il falso. Sì e no o, in base alla classica rappresentazione, le cifre 0 e 1.

La destinazione finale della Legge di Moore (secondo la quale i calcolatori accelerano la loro velocità di esecuzione di un fattore pari a due ogni diciotto mesi circa) è un computer così potente da utilizzare i singoli atomi per memorizzare i bit di informazione: un atomo, un bit. Se fossimo in grado di lavorare su scale subatomiche e memorizzare i bit con gli elettroni o i quark, potremmo andare ancora più lontano. Ma soffermiamoci su ciò che siamo in grado di fare.

Se gli attuali tassi di miniaturizzazione permarranno, il vostro personal computer memorizzerà un bit per ogni singolo atomo verso il 2050. Ma è naturale chiedersi se sia davvero possibile ottenere una effettiva corrispondenza tra atomi e bit. Curiosamente, i prototipi di computer che immagazzinano le informazioni per singoli atomi esistono già in laboratorio. Questo tipo di computer viene chiamato “calcolatore quantistico” perché le informazioni vengono memorizzate e rielaborate su scale per cui cominciano a valere le leggi della meccanica quantistica.

La meccanica quantistica è quel ramo della fisica che governa gli eventi su scala molto piccola. Notoriamente i suoi principi di base sono molto strani, per cui è naturale che anche un computer quantistico debba essere molto strano. Un normale calcolatore elettronico, in cui ciascun bit è rappresentato da uno zero o da un uno è vincolato a una logica binaria; un bit quantistico, o “qubit”, invece può valere contemporaneamente uno e zero, un fenomeno noto come “sovrapposizione”. Che cosa significa per un bit quantistico essere registrato simultaneamente come 1 e 0? La risposta corretta è: nessuno lo può sapere per certo. La natura controintuitiva della meccanica quantistica impedisce alla nostra mente di comprendere appieno il comportamento dei bit quantistici. Ciò nondimeno, poiché le leggi della meccanica quantistica hanno una formulazione molto precisa, possiamo prevedere ciò che un computer quantistico sarà in grado di fare.

E si tratta di cose notevoli. Dato che un qubit può rappresentare 2 valori nello stesso istante, due qubit possono assumere contemporaneamente 4 valori (00, 01, 10 e 11 in notazione binaria); quattro qubit rappresentano 16 valori; otto qubit 256 valori e così via. Anche un computer quantistico relativamente piccolo, magari della capacità di poche decine di migliaia di qubit, sarebbe in grado di avere a che fare con un numero così enorme di numeri diversi in una volta sola da poter decifrare tutti i codici comunemente utilizzati per rendere sicure le comunicazioni su Internet. I computer quantistici risulterebbero molto utili per velocizzare le ricerche nei database, o per affrontare problemi complessi che i calcolatori convenzionali non riuscirebbero a risolvere neppure con tutto il tempo dell’universo a disposizione. Con i miei colleghi del MIT costruiamo semplici computer quantistici e sviluppiamo algoritmi quantistici fin dal 1996, insieme a tanti altri scienziati in tutto il mondo. I computer quantistici lavorano secondo le previsioni. Se potessimo farli crescere fino a migliaia o a qualche decina di migliaia di qubit rispetto all’attuale decina, ne vedremmo delle belle!

Considerando la potenza dispiegata nell’intercettare e decifrare le comunicazioni segrete, non dobbiamo sorprenderci se i computer quantistici ricevono le attenzioni di diverse agenzie del governo americano. La National Security Agency, che sostiene la ricerca nel campo dell’informatica quantistica, ammette candidamente che, visti i suoi interessi nella segretezza delle informazioni governative, è un vero dramma sapere che in giro ci sono persone impegnate nel realizzare un computer quantistico. Ma, d’altra parte, se tali computer si possono costruire, allora vuole disporre del primo esemplare.

Il calcolo quantistico attira però anche interessi di tipo più commerciale. Agli attuali ritmi di crescita, ci vorranno ancora dieci anni prima di avere un computer quantistico sufficientemente grande per il lavoro di decrittazione, per cui il settore privato si è focalizzazto su due tipi di attività computazionali quantistiche più leggere. La prima classe di calcoli quantistici non banale è stata proposta nel 1981 dal premio Nobel per la fisica Richard Feynman. All’epoca Feynman stava studiando il modo di simulare i processi quantistici della fisica delle alte energie e si rese conto che i computer classici non erano molto adatti allo scopo, per la stessa ragione per cui gli esseri umani trovano controintuitiva la meccanica quantistica: per entrambi non c’è un modo facile di rappresentare un bit che vale contemporaneamente 0 e 1. Feynman suggerì che un computer meccanico-quantistico avrebbe potuto affrontare più facilmente i processi quantistici. Nel 1996 io riuscii a dimostrare che Feynman aveva ragione e creai gli algoritmi che potevano consentire a un computer quantistico di simulare sistemi chimici, allo stato solido e delle alte energie. Un emulatore di questo tipo avrebbe richiesto appena un centinaio di qubit per superare qualsiasi supercomputer convenzionale.

Una seconda classe di calcoli quantistici, il calcolo quantistico adiabatico, non solo è più semplice della decrittazione, ma è di gran lunga potenzialmente più utile sul piano commerciale. Il calcolo quantistico adiabiatico è una procedura particolarmente “fisica” per risolvere problemi molto complessi.

Come tutti i sistemi fisici, gli elettroni preferiscono popolare gli stati energetici più bassi piuttosto che quelli più elevati, specie alle basse temperature. L’energia di un sistema fisico come l’elettrone dipende dallo stato dei suoi vicini. Un elettrone può indicare alle particelle vicine di invertire la direzione di spin (rotazione) in senso orario per raggiungere uno stato energetico più basso; un altro elettrone può trasmettere un messaggio opposto, indicando uno spin antiorario. Lo stato energetico più basso per una comunità di elettroni che stanno tutti ruotando su se stessi è quello per cui il numero complessivo di conflitti tra spin adiacenti è il più basso. Affinché il gruppo di elettroni possa registrare, nel suo insieme, lo stato energetico minimo, il cosiddetto “stato fondamentale”, è necessario trovare un accordo per allineare le direzioni di spin. Così come un problema computazionale complesso può essere risolto spezzandolo in tante cifre binarie, lo si può rappresentare in termini di stato fondamentale di un sistema fisico appropriato.

Il calcolo quantistico adiabatico cerca di rappresentare problemi come la perturbazione di un sistema quantistico in modo che la risposta sia identificata dall’assunzione di un nuovo stato fondamentale da parte del sistema stesso. Sviluppato da Eddie Fahri e Jeffrey Goldstone al MIT e da Sam Gutmann della Northeastern University, il calcolo agisce prima inizializzando il sistema quantistico su un semplice stato fondamentale (per esempio tutti gli spin in direzione oraria) e poi attivando gradualmente, o “adiabaticamente”, le interazioni che codificano il problema. Se tale processo di attivazione è sufficientemente lento, il sistema “fluisce” gradualmente dal semplice stato iniziale a uno stato finale complesso.

L’aspetto più interessante del calcolo quantistico adiabatico è che nessuno può dire se esso riesca a funzionare in pratica. Potrebbe anche accadere che il sistema debba fluire tanto lentamente da fornire una risposta in un tempo corrispondente all’età dell’universo. Viceversa, potrebbe anche darsi che anche il più complicato dei problemi possa cedere davanti a un calcolatore quantistico adiabatico. Malgrado le attenzioni coordinate di un esercito di fisici e matematici, la questione del funzionamento del calcolo quantistico adiabiatico rimane tuttora aperta. Quasi tutti gli esperti sospettano che con esso non sia possibile risolvere i problemi più difficili. Ma il sospetto non costituisce una prova.

Quando i teorici non riescono a mettersi d’accordo, gli sperimentalisti procedono a testa bassa. Dato che lo scopo ultimo dell’informatica quantistica adiabatica è di procedere lentamente piuttosto che velocemente, i computer quantistici adiabatici sono in linea di principio assai più facili da costruire rispetto a un computer quantistico programmabile destinato alla decrittazione. Conscio di tale opportunità, uno dei miei studenti, Bill Kaminsky ha sviluppato insieme a me il progetto di un computer quantistico adiabatico basato sulla tecnologia dei superconduttori. Lo scorso anno, D-Wave Systems, startup dedicata all’informatica quantistica e con sede a Burnaby, nello stato canadese British Columbia, ha annunciato di aver costruito un computer quantistico adiabatico ispirato al nostro progetto. A quel punto, le cose si sono fatte davvero interessanti.

D-Wave è stata fondata poco meno di dieci anni fa con l’esplicito scopo di costruire un computer quantistico commerciale. Dopo aver giocato con l’idea di sviluppare un computer quantistico per fattorizzare numeri molto lunghi, i suoi ricercatori si sono opportunamente concentrati sull’obiettivo, più diretto ma anche potenzialmente redditizio, della simulazione quantistica e dell’informatica quantistica adiabatica. Nel febbraio del 2007, presso il Computer History Museum della Silicon Valley, l’azienda presentò un dispositivo a 16 qubit che, secondo gli sviluppatori, era in grado di risolvere problemi di ottimizzazione ragionevolmente complessi. Riusciva persino a riempire la griglia di un puzzle Sudoku!

D-Wave ha raccolto circa 60 milioni di fondi da venture capitalists come Draper Fisher Jurvetson. Come società privata D-Wave è responsabile principalmente nei confronti dei suoi investitori, non della comunità scientifica. Per cui non dobbiamo soprenderci se, nell’annunciare il proprio successo come costruttore di un computer quantistico adiabatico, D-Wave abbia voluto focalizzarsi su applicazioni di natura commerciale piuttosto che sui dettagli scientifici. Se gli investitori di capitali di rischio erano rimasti impressionati dalla notizia, affrettandosi a concedere all’azienda un secondo giro di investimenti, tra gli scienziati non c’è stata altrettanta eccitazione. Il comunicato stampa non forniva alcuna specifica tecnica del dispositivo per consentire una valutazione scientifica dell’accuratezza di quando sostenuto. Sembrava possibile che il computer riuscisse a trovare le soluzioni volute semplicemente attraverso un raffreddamento fino al suo stato fondamentale, una procedura banale e non particolarmente “quantistica”, invece di eseguire un più sottile procedimento adiabatico come quello che ho descritto poco fa. Dopo il rifiuto da parte di D-Wave di fornire una qualsiasi prova tangibile del fatto che il suo dispositivo stesse davvero effettuando un calcolo di tipo quantistico, anche l’osservatore scientifico più caritatevole non poteva trarre altre conclusioni: gli scienziati dell’azienda non erano in grado di decidere se il loro sistema funzionava o no. Gli osservatori meno tolleranti si sono espressi in termini che non posso riportare qui. Da parte mia, mi sono trovato in un bel dilemma. Personalmente mi piacerebbe molto avere la certezza che il calcolo quantistico adiabatico funziona davvero. Anche se questo approccio non è in grado di risolvere problemi troppo complessi. Se il sistema messo a punto da D-Wave potesse effettuare una dimostrazione ben definita di una semplice applicazione dell’informatica quantistica, sarebbe una importante conferma del progetto firmato da Kaminsky e da me. Allo stato dei fatti sembrava solo che D-Wave stesse intorbidendo l’acqua del pozzo quantistico solo per denaro.

Nell’autunno scorso le acque si sono un po’ schiarite. Il maggior responsabile della ricerca teorica di D-Wave, Mohammad Amin e il suo capo sperimentatore, Andrew Berkley, hanno visitato la comunità informatico-quantistica del MIT. Hanno discusso apertamente delle questioni scientifiche. No, hanno ammesso, non potevano dimostrare che quello che stavano facendo fosse effettivamente un calcolo quantistico adiabatico (all’apparenza però probabilmente lo era). In sostanza, che cosa dovevano fare per rispondere definitivamente alla domanda?

I pionieri della computazione quantistica superconducente erano riusciti a dimostrare la natura quantistica dei loro dispositivi bombardandoli con velocissimi treni di impulsi di microonde e sorvegliandone le risposte. Ma quei dispositivi non erano di tipo adiabatico; anzi, funzionavano a velocità paragonabili a quelle di un computer convenzionale. Il dispositivo D-Wave, al contrario, è volutamente lento e per questo motivo non è possibile alcun tipo di bombardamento. Di conseguenza c’è un ristrettissimo numero di esperimenti che possono indicare se veramente l’apparecchio sta effettuando calcoli di tipo quantistico. Una possibilità consiste tuttavia nel variare la lentezza con cui il dispositivo scivola dal suo stato iniziale allo stato finale. Verso la metà di questo percorso, il computer arriva a un punto in cui deve cominciare a prendere l’ardua decisione che lo condurrà alla soluzione. è qui che il computer si trova in uno stato quantistico strano, in cui ciascun bit registra contemporaneamente un valore di 0 e 1. Ho esortato i ricercatori della D-Wave a esplorare più a fondo questo punto critico, cercando di individuarne i sintomi.

Più recentemente ho discusso ancora con Herb Martin, amministratore delegato di D-Wave e Geordie Rose, responsabile tecnologico e cofondatore dell’azienda e ho sottolineato la necessità di portare avanti tali esperimenti se il loro interesse nello spiegare il funzionamento del loro dispositivo è davvero genuino. Un esperimento che ho suggerito consiste in uno specifico protocollo per creare e verificare la presenza del cosiddetto “stato del gatto di Schrödinger”, una speciale istanza dello stato in cui tutti i qubit del dispositivo valgono contemporaneamente 0 e 1. La dicitura deriva dall’esperimento astratto proposto da uno dei padri fondatori della meccanica quantistica, Erwin Schrödinger, che si era immaginato un gatto in una situazione in cui l’animale poteva essere simultaneamente vivo e morto. Tanto Martin che Rose sembrano entusiasti: si rendono ben conto che se non potranno dimostrare che il loro apparato si stia comportando in modo quantistico, resterà una brutta macchia sulla loro reputazione nel mondo scientifico.

Nel novembre dell’anno scorso, D-Wave ha presentato quello che secondo la startup dovrebbe essere un computer quantistico adiabatico a 28 qubit. Oggi gli scienziati di questa azienda sono impegnati a dimostrare la natura fondamentalmente meccanico-quantistica del loro dispositivo. La motivazione per far quadrare bene la scienza è molto forte. L’ingegneria è una scienza così solidamente affermata che perfino un ingegnere come me sarebbe in grado di farlo. Se risultasse impossibile chiarire con tutti i crismi la scienza di un computer quantistico da 16 qubit, le probabilità di costruire dispositivi da 512 o magari 1024 qubit (il prossimo obiettivo di D-Wave) sarebbero pari a zero. D’altra parte, se D-Wave può confermare che il sistema di cui dispone attualmente entra effettivamente in uno stato in cui tutti i qubit valgono in uno stesso momento 0 e 1, ci sono parecchie chance di poter arrivare a macchine ancora più complesse.

Un gatto di Schrödinger superconduttore a 16 qubit sarebbe uno schianto.

Un dispositivo chiamato refrigeratore a diluizione serve per inizializzare il computer quantistico D-Wave, portandolo allo stato iniziale tramite raffreddamento a una temperatura prossima allo zero assoluto.

Related Posts
Total
0
Share