La scelta fatta da MIT Technology Review dei vari posti al mondo dove intere città o regioni cercano di diventare ‘la prossima Sylicon Valley’, non è una semplice rassegna di casi. E’ un paradigma di modelli diversi per creare imprese innovative.
di Alessandro Ovi
Silicon Valley, California, nata in modo spontaneo da Mr Hewlett e Mr Packard, che per fare tecnologia avanzata nelle radiofrequenze hanno generato il cluster di cervelli da cui è nata tutta la microelettronica, prima attorno all’Università di Stanford poi a tutte le altre dell’area.
Bangalore, anch’essa cresciuta da sola attorno al grande sviluppo in trent’anni di Infosys e che da sempre continua a confrontarsi con la California perché sa di essere diversa, ma si sforza di esserlo sempre meno.
Kendall Square, Cambridge al MIT, è un secondo modello dove la spontaneità è favorita da una grande università. Assopitasi la ‘Route 128’ (troppo lontana da tutto), sono comparsi Presidenti del MIT visionari come Jerry Wisner e Chuck Vest che non solo hanno investito pesantemente in ricerca attirando i più grandi scienziati, ma hanno anche chiamato i migliori architetti del mondo per dare casa a esperienze trasgressive come il Media Lab o disegnare modernissimi edifici per richiamare grandi aziende di ricerca in laboratori aperti al MIT. Allo stesso tempo, a stretto contatto del Campus, a Kendall Squre, hanno creato spazi per tutte le Start Ups possibili, in Bio, Info, Web, Energia.., dove giovanissimi imprenditori lavorano per le loro startup a contatto di gomito tra loro, con i colleghi dell’industria e con gli investitori. Sulla linea del MIT stanno muovendosi tante altre Università dalla CMU di Pittsburg, a Georgia Tech. Rice.
Waterloo in Canada, parco monotematico destinato al “Quantum Computing”, è il primo esempio del terzo modello, quello delle iniziative di imprenditori che hanno deciso di reinvestire in promozione dell’innovazione il ricavato a volte gigantesco di precedenti iniziative. Waterloo è nato dai 100 milioni di $ Mike Lazaridis fondatore della Black Berry.
Las Vegas, invece, è assolutamente privo di tema. Una ristrutturazione a ‘Incubatore Urbano’ del centro totalmente degradato della città, e tutta centrata sulla creazione di ‘vicinanza dei cervelli più innovativi e trasgressivi. L’iniziativa è tutta a carico (forse con un recondito fine di valorizzazione immobiliare) di But Hsieh, fondatore di Zappos (una società di vendita on line di scarpe di ogni tipo), che vi ha investito 350 milioni dei 900 ricavati dalla sua cessione ad Amazon.
Secondo il New York Times questo, dei giovani straricchi che reinvestono in nuove imprese il ricavato della collocazione in borsa (a prezzi a volte folli) delle loro Start Up, pare sia il modello di creazione d’impresa vincente, e andrebbe incentivato con cura. (Da “Myspace’s Ashes, Silicon Start-Ups Rise“, NYT Technology, Settembre7 2013)
Un modello intermedio tra questi tre, che fanno molto leva sul capitale privato, e gli ultimi tre, che vedremo tutti realizzati da fondi pubblici, è quello che si può riconoscere nei casi di Pechino e Londra.
Pechino, dove un governo pianificatore per definizione ha dato risorse e spazi per fondare la ‘Info Technology Cinese’ sotto la guida di Kai-Fu Lee, un imprenditore di ritorno della grande Scuola Americana di Management e Tecnologia e già direttore di Google e Microsoft Asia.
Londra, dove un Primo Ministro intelligente e con grande capacità di visione aveva osservato che in una estesa area di East London si raggruppavano spontaneamente numerose e diverse iniziative innovative, ed è intervenuto con un’opera di riqualificazione urbana che ha dato vita a ‘Tech City’, oggi un polo di attrazione straordinario per le giovani imprese innovative.
Esiste infine il modello dell’intervento pubblico che programma la promozione e il sostegno, con grandi fondi, di intere regioni o di migliaia di persone.
Parigi-Saclays, dove lo stato concentra in una grande area di 600.000 abitanti grandi imprese industriali operanti in settori a tecnologie avanzate, scuole tecniche e università di ingegneria, centri di ricerca pubblici.
Mosca, dove sempre lo stato pianifica di investire 2,5 miliardi di $ in una grande area per farla diventare un cluster di innovazione tecnologica ad ampio spettro e chiama il MIT a costruire il motore centrale della eccellenza.
Israele, infine, il caso straordinario dell’esercito che con i 5 anni di servizio militare forma i suoi giovani più dotati di talento ‘digitale’ per farli diventare il più grande ‘reggimento’ al mondo di hackers dedicati a ‘intelligence” per la sicurezza nazionale.
Alla fine del servizio li segue e li aiuta, poi, in qualunque start up venga loro in mente di fondare. E’ così che, oggi, tante giovani aziende israeliane sono anni avanti, nel business in grande crescita della Cybersecurity, a quelle Americane , Inglesi , Francesi e Russe.
Ora una riflessione sull’Italia. Gli incubatori per Start Up non mancano.
L’associazione degli Incubatori Universitari Italiani, PNI Cube, ha 38 membri, che stimola con iniziative molto interessanti a livello capillare. Ma la ridotta dimensione dei singoli resta un problema di tutto il mondo industriale nazionale.
Si opera perché la loro rete possa superare la mancanza di massa critica per farne un vero motore di sviluppo per un paese che nell’orribile crisi economica in cui vive, ha davvero bisogno di tante nuove aziende innovative.
Qualche caso promettente c’è e, tra tutti, per la nostra selezione a livello globale, abbiamo scelto quello di Torino. Leggetene la descrizione, e vedrete il perché della scelta.
(AO)