All’insegna delle antiche divinità greche, sono riprese le imprese spaziali, in una accentuata concorrenza internazionale, motivata anche dai problemi scientifici e tecnologici che restano da risolvere per garantire l’esito favorevole delle complesse spedizioni in via di programmazione.
Certamente avrete ammirato le immagini della Terra avvolta dalle nuvole e di una Luna che galleggia nel buio profondo, riprese da ArgoMoon, il satellite dell’Agenzia Spaziale Italiana, rilasciato dal secondo stadio di Space Launch System, il nuovo grande vettore di Artemis 1, decollato dal Kennedy Space Center della NASA mercoledì 16 novembre.
Queste bellissime e ancora misteriose immagini, tuttavia, non sembrano avere suscitato lo stesso interesse e la stessa commozione di quelle che oltre mezzo secolo fa accompagnarono le prime imprese spaziali sovietiche e statunitensi. Imprese che, dopo avere raggiunto la Luna, culminarono nel Programma Apollo, consentendo con l’Apollo 11 il primo allunaggio umano, il 20 luglio 1969, quando Neil Armostrong e Buzz Aldrin misero piede sul suolo lunare.
Nell’attuale circostanza la pubblica opinione, forse assillata dalle tante preoccupazioni suscitate dalle crisi incombenti, da quelle economiche a quelle climatiche, dalle guerre che si stanno moltiplicando in tutto il mondo alle epidemie sempre più invasive e pervasive, sembra rivolgere una scarsa attenzione a un evento che a suo tempo aveva tenuto milioni di spettatori davanti ai loro televisori per seguire le emozionanti vicende dal lancio fino all’arrivo sulla Luna.
Evidentemente anche i successi tecnologici più eclatanti provocano una qualche inevitabile assuefazione. Forse perché si percepiscono in maniera meno drammatica i rischi che ogni avventura oltre l’ambito terrestre inevitabilmente comporta. O forse perché quelle ormai lontane imprese spaziali possedevano anche uno specifico valore agonistico, in quanto rappresentavano dei momenti particolarmente spettacolari nel quadro variegato della guerra fredda tra Unione Sovietica e Stati Uniti. Un confronto civile e militare al tempo stesso, che dall’Inner Space, lo spazio interno, si proiettava nell’Outer Space, lo spazio esterno, dove cominciavano a delinearsi le nuove frontiere della incessante avventura umana.
Per altro, rievocando la celebre sentenza di Mark Twain, secondo cui “la storia non si ripete, ma fa rima”, se la Missione Artemis – che sulla scorta delle genealogie mitologiche dell’antica Grecia succede e subentra al programma Apollo – riannoda il filo delle imprese lunari che sembrava essersi interrotto dopo l’allunaggio dell’Apollo 17, il 7 dicembre 1972, le sue finalità vanno molto oltre la Luna stessa. Dopo la installazione di un insediamento lunare permanente entro la fine degli anni Venti, in vista di uno sfruttamento delle ipotizzate risorse minerarie del nostro satellite, la NASA considera la Missione Artemis come un passo verso l’obiettivo a lungo termine di una colonizzazione di Marte. Si tratta di uno scenario scientifico e tecnologico, oltre che economico e politico, di straordinaria suggestione, in cui però non mancano aspetti critici in relazione alla sua concreta e sollecita fattibilità.
In attesa di ulteriori riscontri e approfondimenti sull’andamento della Missione Artemis e sui suoi conseguimenti tattici e strategici, vanno infatti tenute presenti alcune difficoltà operative a cui sarà necessario fare fronte allo scopo di realizzare con ragionevole sicurezza uno sbarco con equipaggio sul Pianeta Rosso.
In primo luogo, gli attuali sistemi di propulsione risultano inadeguati allo scopo di proiettare un razzo con equipaggio nella traiettoria di trasferimento tra la Terra e Marte, tenuto conto anche delle grandi dimensioni della navicella. In un viaggio del genere il razzo dovrà essere in grado di trasportare tutto quello di cui gli astronauti avranno bisogno su Marte e di compiere le relative manovre orbitali per il viaggio di ritorno.
In secondo luogo, la minima distanza tra la Terra e Marte risulta di 55 milioni di chilometri. Ciò comporta che un viaggio di andata e ritorno richiederebbe più di 500 giorni. Per ovviare a questi assai problematici tempi di percorrenza, la NASA ha sollecitato lo sviluppo di proposte che consentano di trasportare sul Pianeta Rosso un razzo con un carico utile di mille chilogrammi in non più di 45 giorni. Così si ridurrebbe al minimo l’esposizione degli astronauti agli effetti nocivi dei raggi cosmici. Ai lunghi tempi di percorrenza si aggiungerebbe infatti il tempo di permanenza sul pianeta, considerato che gli eventuali coloni saranno costretti a rimanere su Marte per un tempo o troppo breve (appena un mese) sfruttando la stessa finestra di andata, oppure molto lungo (quasi un anno) in attesa di un nuovo periodo di avvicinamento tra i due corpi celesti.
Anche considerando le difficoltà nelle comunicazioni tra una stazione spaziale su Marte e la Terra e la necessità di disporre di fonti di energia per sostenere le operazioni in superficie, sarà necessario sviluppare un sistema di supporto biorigenerativo affidabile, in grado di sostenere per lunghi periodi la vita degli astronauti senza fare ricorso ai rifornimenti da Terra.
Come si vede, le imprese spaziali non sono mai scontate e richiedono un crescente e sistematico impegno in molteplici settori della ricerca scientifica e tecnologica, della produzione industriale, delle risorse economiche e logistiche, ma anche l’indispensabile consenso delle pubbliche opinioni dei Paesi coinvolti. Accennare, come abbiamo fatto, alle difficoltà che restano ancora da affrontare e risolvere non soltanto risponde alla doverosa responsabilità informativa e valutativa di una rivista come “MIT Technology Review Italia”, ma intende anche stimolare, motivare e argomentare questo consenso, nelle diverse espressioni mediatiche in cui può diventare un efficace fattore di orientamento e di partecipazione.
(gv)