Alaska, il gas di scisto che non convince

Le risorse di cui sarebbe dotato nordamericano, oltre ai costi di estrazione molto elevati, non sarebbero sufficienti per cambiare il mercato dell’energia. Il modello Norvegia potrebbe essere la strada da seguire.

di Douglas B. Reynolds

Per alcuni l’Alaska potrebbe rappresentare la nuova frontiera del gas di scisto ma a mio parere rimangono molti dubbi al riguardo. Lo stato possiede forse gas e petrolio di scisto nel North Slope, ma lo sfruttamento di tali riserve potrebbe richiedere un gasdotto di grandi dimensioni.

Al momento, viste anche le sfide economiche in corso, è improbabile che l’Alaska si doti di una pipeline di gas naturale o dimostri concrete capacità di esportazione nei prossimi dieci/venti anni. Sarà pertanto difficile assistere nell’immediato allo sviluppo delle risorse di scisto. Considerata l’evoluzione della tecnologia, e anche se si trovassero consistenti riserve di petrolio di scisto, l’output non sarebbe comunque sufficiente a influenzare il mercato mondiale degli idrocarburi.
Il petrolio e il gas di scisto di questo stato costituirebbero una piccola quantità del mercato mondiale e dunque non cambierebbero le sorti del settore gas-petrolifero globale.

Indipendenza energetica e prossimi investimenti

Non credo che gli USA saranno mai completamente indipendenti dal punto di vista energetico, sebbene, data l’elevata attività commerciale nel settore – soprattutto per quanto riguarda l’esportazione di carbone e l’importazione di petrolio – danno a volte l’impressione di esserlo. Finché gli Stati Uniti godranno di mercati aperti e consentiranno il libero commercio in campo energetico, sia loro stessi che, complessivamente, l’economia mondiale, non potranno che trarne vantaggio. Se invece seguiranno norme di importazione ed esportazione rigorose in materia di energia, questo non li aiuterà.

Gli investimenti nel petrolio e nel gas di scisto del Sudamerica probabilmente non vedrà coinvolti gli USA. Non credo, infatti, che lo sfruttamento delle risorse presenti in America Latina possa ostacolare o migliorare quello nelle risorse statunitensi. Il settore del gas di scisto sudamericano potrà, con ogni probabilità, contare su investimenti privati.

Norvegia: così lontana e allo stesso tempo così vicina

È opinione comune che l’amministrazione Obama si sia mostrata ambigua sullo sfruttamento del petrolio in Alaska. La Casa Bianca ha consentito l’esplorazione offshore, ma le normative e le imposte troppo onerose hanno finora dissuaso le aziende private dall’investire e potrebbero volerci alcuni anni per intravedere i primi sviluppi in questo ambito.

Sul fronte onshore, lo Stato dell’Alaska si sta già muovendo e gli USA hanno concesso licenze di espansione, ma con i prezzi così bassi ci vorrà del tempo.
L’altra zona onshore è l’ANWR, ma ad oggi il Congresso statunitense non vi consente alcuno sviluppo. 

L’Alaska può imparare dalla Norvegia. Alcuni aspetti della cultura norvegese non potrebbero funzionare in Alaska – ad esempio una politica di Oslo maggiormente tendente a sinistra rispetto a quella più spostata a destra di Juneau – ma ho il sospetto che se l’Alaska fosse uno stato indipendente potrebbe, in effetti, dirottare il proprio orientamento più verso sinistra.

La Norvegia presenta vantaggi che mancano all’Alaska, come ad esempio un’industria del gas naturale ben sviluppata, ma purtroppo i costi e le sfide legati al gas naturale nello stato americano ne rendono più difficile lo sviluppo rispetto al paese scandinavo.

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(sa)

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