Tanto i Premi Nobel dell’anno scorso quanto i Premi Fields di quest’anno sono stati assegnati a studiosi dei sistemi caotici, con motivazioni che da un lato confermano l’interesse per la complessità, mentre dall’altro lato si proporrebbero di ridurla.
Con qualche inevitabile approssimazione concettuale, si potrebbe dire che la matematica ha doppiamente a che vedere con il caos: perché ricerca il caos e perché combatte il caos. Quasi come in un romanzo formazione, che può concludersi in un modo o nell’altro, questa ambivalenza della matematica è apparsa evidente dagli esordi del pensiero greco, a giudicare da due contrapposte narrazioni aneddotiche concernenti Talete di Mileto, non a caso considerato il primo filosofo della storia del pensiero occidentale, dove con “filosofo” gli stessi filosofi antichi intendevano qualcuno che si occupava prioritariamente delle scienze matematiche, geometriche e astronomiche. I due aneddoti, in significativa contrapposizione, vengono narrati dai due maggiori filosofi dell’Occidente greco, Platone e Aristotele, confermando così il loro valore emblematico ed esemplare.
Platone, nel Teeteto, ritrae Talete come un pensatore immerso in riflessioni teoriche e poco interessato agli aspetti pratici della vita, per cui un giorno, mentre camminava guardando le stelle, non si accorse che stava cadendo in un pozzo: «Una graziosa e intelligente servetta trace lo prese in giro, dicendogli che si preoccupava tanto di conoscere le cose che stanno in cielo, ma non vedeva quelle che gli stavano davanti, tra i piedi. La stessa ironia è riservata a chi passa il tempo a filosofare […] cadendo, per inesperienza, nei pozzi e in ogni difficoltà».
L’aneddoto riferito da Aristotele e ripreso da molti altri autori, tra cui anche Cicerone, mostra invece la intraprendenza e la concretezza di Talete. Per rispondere a chi lo accusava di essere povero a causa della filosofia, riuscì a prevedere grazie a calcoli astronomici una cospicua raccolta di olive e in pieno inverno si accaparrò tutti i frantoi di Mileto e di Chio a prezzi di saldo, poiché vi era scarsa richiesta. Così, al momento della raccolta delle olive, Talete poté speculare sulla sua posizione quasi monopolistica, dimostrando che per un filosofo sarebbe facile arricchirsi, se gli interessasse davvero.
Per tornare al nostro inizio “caotico”, da un lato Talete, riflettendo sui massimi sistemi, incorreva nel caos della sua vita quotidiana, mentre dall’altro lato, di fronte a una per altro ricorrente imprevedibilità climatica, riusciva a mettere ordine tra il dire e il fare. La battaglia della matematica a favore o contro il caos non ha fatto che riprodursi e articolarsi nel corso dei secoli, diventando a nostro avviso un indicatore culturale delle tensioni non soltanto conoscitive, ma anche sociali ed economiche, che di tempo in tempo interferivano con la presunta atarassia del pensiero.
Non sorprende, da questo punto di vista, che in un momento storico come l’attuale, in cui i fattori di precarietà, climatica, energetica, sanitaria e anche politica, si stanno moltiplicando, la battaglia della matematica non sempre contro, ma spesso con il caos, quasi come duellanti conradiani, sia tornata a manifestarsi in maniera particolarmente incisiva, anche a livello istituzionale.
Di questo “ritorno del rimosso” ci sembrano, infatti, eloquente testimonianza gli stessi maggiori riconoscimenti internazionali alle scienze fisiche e matematiche. Nell’autunno scorso il Nobel per la fisica 2021 è andato a Syukuro Manabe, Klaus Hasselmann, e al nostro Giorgio Parisi. Manabe, nato in Giappone, lavora a Princeton negli Stati Uniti; Hasselmann al Max Planck Institut per la meteorologia di Amburgo; Parisi è professore emerito alla Sapienza di Roma ed è stato presidente dell’Accademia dei Lincei.
Cosa unisce le ricerche di questi tre illustri scienziati? Manabe e Hasselmann hanno ricevuto il Nobel «per la modellizzazione del clima terrestre» e «per avere quantificato e predetto in maniera attendibile il riscaldamento globale». Parisi, «per la scoperta dell’interazione tra disordine e fluttuazioni nei sistemi fisici dalla scala atomica a quella planetaria». In buona sostanza, e ragionando per sommi capi, potremmo dire che il Nobel quest’anno ha voluto premiare gli studi sui sistemi complessi. Compito del fisico – ha scritto Parisi – è trovare le leggi macroscopiche che regolano il comportamento globale di tali sistemi e che non sono facilmente deducibili dall’analisi delle leggi microscopiche che controllano ciascuno dei singoli componenti. Le sue scoperte – si legge nel sito del Premio Nobel – «sono tra i contributi più importanti alla teoria dei sistemi complessi. Rendono possibile comprendere e descrivere molti materiali e fenomeni differenti e apparentemente casuali, non solo in fisica, ma anche in altre aree, come la matematica, la biologia, le neuroscienze e il machine learning».
Analoghe motivazioni, personali e collettive, potrebbero venire rintracciate nelle recentissime assegnazioni da parte dell’Unione matematica internazionale dei Premi Fields, i cosiddetti Nobel della matematica, a quattro giovani studiosi che, in maniera diversa, ma con analogo impegno creativo, si sono occupati, anzi si stanno occupando di come la matematica possa, diceva Parisi, «mettere ordine al caos». Si tratta di quattro under 40: Hugo Duminil-Copin, 36 anni, dell’Institut des Hautes Études Scientifiques; June Huh, 39 anni, dell’Università di Princeton; James Maynard, 35 anni, dell’Università di Oxford; la ucraina Maryna Viazovska, 37 anni, del Politecnico di Losanna, la seconda donna di sempre a meritarsi il premio.
Il francese Hugo Duminil-Copin si è aggiudicato il riconoscimento per aver risolto «problemi di vecchia data nella teoria probabilistica delle transizioni di fase e in particolare in un modello di magnetismo in versione tridimensionale e quadridimensionale». In queste condizioni particolari, Duminil-Copin ha dimostrato che la curva della magnetizzazione dei materiali è continua, proprio come nelle due dimensioni.
Il giapponese June Huh si è fatto notare nel campo della combinatoria, un’area della matematica che calcola in quanti modi possono combinarsi degli elementi.
L’inglese James Maynard ha ottenuto la medaglia Fields «per i contributi alla teoria analitica dei numeri, che hanno portato a importanti progressi nella comprensione della struttura dei numeri primi». Come si sa, quella dei numeri primi è una serie infinita e apparentemente irregolare, di cui non si è mai riusciti a cogliere, se non provando e riprovando, una qualche sorta di prevedibilità. Ci aveva provato, nell’Ottocento. il grande matematico tedesco Bernhard Riemann in una celebre congettura, ancora non dimostrata, sulla distribuzione lineare dei numeri primi, le cui peculiarità evidentemente non hanno mai smesso di sollecitare le migliori mente matematiche.
Infine, Maryna Viazovska si è distinta per i suoi studi sul tradizionale problema “dell’impacchettamento delle sfere”, ovvero la dimostrazione matematica di come sia possibile collocare una serie di oggetti rotondi all’interno di una scatola: anche questo un modo per cogliere un possibile ordinamento in un sistema complesso.
Per concludere, se un tempo che soffre di un ordine eccessivo, come per esempio l’Ottocento positivistico, cerca di mettere in crisi quell’ordine elaborandone le possibili alternative, un tempo che al contrario si sente intrinsecamente e permanente in crisi, come il nostro, si sforza di ripensare sistematicamente alla istanza dell’ordine, riconoscendolo come un compito difficile, forse paradossale, ma anche tanto impegnativo da risultare innovativo oltre lo stesso ordine ipotizzabile. Vale a dire, come qualcosa che si può pensare proprio perché deve sempre confrontarsi con l’apparentemente impensabile.
(gv)