Questo laboratorio in scatola potrebbe rendere la terapia genetica meno elitaria

Si stanno curando pazienti riparando il genoma—ma solo in pochi centri elitari.

di Antonio Regalado

Jennifer Adair ha condotto il proprio primo esperimento in terapia genetica svariati anni fa. Si trattava di una cura contro il cancro. Raccolto il sangue dei pazienti, le cellule venivano arricchite di un nuovo gene che li avrebbe protetti da una potente formula di chemioterapia. Le cellule alterate venivano poi re-iniettate nei pazienti.

Lo studio, condotto su 11 pazienti, ebbe un discreto successo, ma secondo Adair, a capo dei laboratori di terapia genetica al Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle, ci sono voluti gli sforzi di tre scienziati in 96 ore solo per elaborare le cellule di una singola persona in una stanza multimilionaria.

A fronte della comparsa di promettenti cure contro cancro e malattie rare, gli scienziati sono preoccupati che i pazienti possano non poterne usufruire alla velocità a cui potrebbero, per mancanza di operatori e strutture adeguate alla complessità della tecnologia in gioco. Nel caso delle terapie genetiche di maggior successo, quelle che richiedono la manipolazione di cellule del sangue fuori del corpo, le procedure coinvolte sono offerte da non più di una dozzina di centri di ricerca, tutti siti in città del calibro di New York, Seattle, Milano e Parigi.

Il fatto che individui dotati della disponibilità economica necessaria a inseguire una cura in giro per il mondo lo possano fare mentre i più non vi abbiano accesso, sta già portando alla luce limiti e dilemmi etici.

Scienziati francesi che collaborano con la società biotech statunitense BlueBird Bio hanno recentemente descritto come sono stati in grado di sostituire con successo il gene che provoca l’insorgere dell’anemia drepanocitica in un ragazzino ricoverato a Parigi.

Nessuno ha chiesto come la cura potrà raggiungere chi ne ha bisogno. La maggior parte dei casi di anemia drepanocitica — il 57 percento di 300,000 nuovi casi all’anno — fa la sua comparsa in Nigeria, Congo ed India. In ottobre, Adair ha dimostrato l’efficacia di una nuova tecnologia che potrebbe aiutare a democratizzare l’accesso alla terapia genetica. Modificando un dispositivo per l’elaborazione di cellule venduto dalla società tedesca Miltenyi, ha quasi completamente automatizzato il procedimento di preparazione delle cellule sanguigne con una terapia genetica per l’HIV in corso di studio al suo centro. Cellule inserite da un lato del dispositivo escono 30 ore dopo dal lato opposto quasi senza supervisione ha persino dotato la macchia di ruote e l’ha definita “terapia genetica in scatola.”

Secondo Adair, il laboratorio di terapia genetica mobile dovrebbe essere dedicato a portare studi sperimentali nei paesi in via di sviluppo, tra cui quelli africani dove si trova il maggior numero di casi di HIV. L’interesse nello sviluppo di dispositivi per la terapia genetica portatili e’ supportato anche da una nuova forma di terapia contro il cancro chiamata CAR-T, che riprogramma il DNA delle T nel sistema immunitario perché attacchino le cellule tumorali. Parte del procedimento viene in strutture specializzate su sangue estratto dai pazienti. Uno dei primi trattamenti CAR-T in commercio sarà probabilmente un prodotto Novartis. I test condotti l’anno scorso dal gigante svizzero su bambini affetti da leucemia hanno dato risultati positivi nell’82 percento dei casi.

La Novartis intende procedere con l’acquisizione dei permessi necessari, ma non e’ soddisfatta del procedimento produttivo necessario ad ottenere la terapia. Il sangue di ogni paziente deve essere inviato a stabilimenti siti nel New Jersey. Il numero di pazienti che la società ara in grado di trattare verrà seriamente limitato dalla complessità della procedura. Nelle parole di Philip Gotwals, Novartis. “Se non riusciremo ad automatizzare il procedimento, dovremo costruire più stabilimenti e non credo che questo avverrà.” Secondo la Miltenyi, lo strumento originale, chiamato Prodigy, sarebbe già capace di automatizzare la produzione di terapie CAR-T e sta venendo valutato da diverse società. Ciascuno strumento costa circa 150,000 dollari, più 12000 per ciascun set di componenti necessari all’elaborazione delle cellule di ogni paziente. Medici londinesi ne faranno uso già a partire dai prossimi mesi. Il costo potenziale di queste terapie si aggira ora attorno ai 500,000 dollari. Deve essere abbassato.

Secondo la Novartis, altri stanno sviluppando dispositivi simili. L’estate scorsa, la General Electric ha acquistato una società chiamata Biosafe specializzata nella gestione di cellule. La Draper sta sviluppando dispositivi microfluidici per la preparazione di trattamenti CAR-T, mentre una startup californiana, la Berkeley Lights, ha sviluppato nuovi metodi per selezionarle cellule giuste tra le tante nel sangue.

“L’obbiettivo e’ arrivare ad un dispositivo posto a lato del letto a cui si possa connettere il paziente per produrre una terapia su misura,” spiega Gotwals.

(LO)

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