Chi dice no, o quasi, ai MOOC

Proseguiamo la nostra inchiesta sui MOOC con il presidente della Stanford University, John Hennessy, il quale avanza seri dubbi sul fatto che l’apprendimento on-line possa integrarsi alla didattica tradizionale e fornire nuove motivazioni agli studenti. L’inchiesta integrale si può leggere sull’ultimo fascicolo (6/15) di MIT Technology Review Italia.

di MIT Technology Review

John Hennessy, il presidente della Stanford University, ha un background che farebbe pensare a lui come uno dei più convinti sostenitori della educazione on-line. É entrato a Stanford nel 1977 come professore di ingegneria elettrotecnica, ha successivamente fondato un’azienda d’informatica e resta attivo nell’area di Silicon Valley in qualità di membro del consiglio di amministrazione di Google. Invece Hennessy è sorprendentemente prudente sull’educazione on-line e sui MOOC in particolare. L’insegnamento tradizionale ha dei punti di forza difficilmente replicabili, tra cui annovera la capacità dell’insegnante di motivare gli studenti e di valutarne il livello di padronanza dei contenuti.

Quali sono i vantaggi più evidenti dell’apprendimento on-line in confronto ai metodi tradizionali?

Il vantaggio è allo stesso tempo il suo punto debole. I MOOC permettono di raggiungere un pubblico molto vasto, largamente eterogeneo in termini di capacità e prestazioni. Questa è una proprietà intrinseca di un corso che si definisce di massa e aperto a tutti. La difficoltà nasce da questa caratteristica. Se gli studenti sono distribuiti in modo disomogeneo, inevitabilmente una parte di loro avrà la sensazione che si stia procedendo troppo rapidamente, mentre un’altra parte avrà la sensazione opposta. Si tratta di una differenza di non poco conto rispetto a una normale classe di Stanford.

Due delle più conosciute piattaforme di MOOC, Coursera e Udacity, sono state avviate da professori di informatica di Stanford nel 2012. Quali consigli gli ha dato allora?

Li ho incoraggiati a provare perché sono dell’idea che alcuni aspetti particolari si possono capire solo se le tecnologie arrivano rapidamente sul mercato. In primo luogo, che tipo di investimento sarebbe stato necessario per creare una piattaforma di qualità. In secondo luogo, in quale fascia di mercato avrebbe riscosso maggior successo. La risposta più significativa è venuta dal settore della formazione professionale, che tradizionalmente si pone al di fuori dell’area di intervento universitaria. Si può indubbiamente organizzare un’azione positiva in quella direzione, ma per un’università non è facile muoversi fuori linea rispetto ai suoi obiettivi tradizionali e alla sua missione di fondo.

Quali obiettivi pensa di raggiungere mettendo insieme gli strumenti on-line con l’insegnamento faccia a faccia? Si sente molto parlare di flipped classroom, in cui gli studenti ascoltano lezioni on-line e poi si confrontano sulle soluzioni dei problemi.

Abbiamo necessità di sperimentare, di provare e misurare. Alla Carnegie Mellon stanno portando avanti un’esperienza molto importante su una classe di statistica on-line. I dati dimostrano abbastanza chiaramente che una flipped classroom può raggiungere performance comparabili a quelle connesse ai metodi tradizionali, ma in meno tempo. Se si è in grado di ridurre il tempo di apprendimento dello studente – ed essere sicuri che i contenuti siano gli stessi – allora siamo dinanzi a un sistema di grande valore.

L’apprendimento a distanza ha una sua dignità già da parecchi anni. Cosa lo ha portato a fare un balzo in avanti?

L’apprendimento attivo. La verità è che guardare un filmato in cui qualcuno parla per un’ora, non è assolutamente più motivante – anzi forse lo è meno – di assistere a una lezione. É necessaria un’esperienza più interattiva che richieda sia una maggiore attenzione, sia la risposta a delle domande prima di passare a un argomento diverso. Questo meccanismo consolida la fiducia degli studenti.

I professori universitari spesso sono ambiziosi. I MOOC sono diventati un segno di distinzione in alcune discipline?

Per noi si tratta prevalentemente di fare qualcosa per il bene comune. La ricerca di visibilità può essere una motivazione per una piccola parte di professori, ma la molla principale è quella di condividere le conoscenze con chi non potrebbe accedervi in altro modo.

Come si potrebbero migliorare i corsi on-line?

Stiamo cercando di costruire griglie analitiche che ci permettano di capire dove intervenire. In una normale aula di scienze o ingegneria fino agli esami non si riesce a capire se alcuni argomenti non sono stati recepiti dagli studenti. On-line si può ricevere un feedback pressoché immediato. Si potrebbe addirittura avere delle indicazioni con la lezione in corso, in modo da intervenire contestualmente.

Si può valutare con accuratezza se gli studenti on-line padroneggiano realmente i contenuti proposti?

Stiamo cercando un equilibrio tra un mix di valutazioni automatiche, valutazioni tra pari e intervento valutativo di esperti o di studenti laureati. Alcuni aspetti non possono venire misurati in modo automatico. In situazioni di stress, la valutazione dei pari contribuisce ad alimentare la tensione. La motivazione e il contatto personale sono problemi complessi. Non credo che spostare le attività nel chiuso della propria stanza permetta di creare quel tipo di esperienza motivante che l’interazione in classe consente. La tecnologia ci permetterà di fare un balzo in avanti, ma ci vorrà tempo.

In che fase ci troviamo ora?

Ci sono diverse alternative che devono venire risolte: profit o nonprofit; consorzi o istituzioni autonome. E poi: chi decide i programmi e chi rilascia le certificazioni?

Si è mai iscritto a un MOOC?

Ho seguito un corso della Penn sulla poesia americana. Il materiale di studio era presentato molto bene. Per chi è già motivato, la situazione è perfetta. Il MOOC crea una comunità d’apprendimento che si può avvicinare a una versione moderna di un club letterario. Non me la sento di sbilanciarmi sui risultati, ma l’ambiente d’apprendimento è valido.

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